Imu o non Imu, questo è il problema. Nelle stanze della politica non si parla d’altro ma, almeno a giudicare dai risultati dell’indagine condotta da LaStampa.it, non è l’imposta sugli immobili a togliere il sonno agli italiani. Toccherà al consiglio dei ministri di oggi decidere sul destino della tassa della discordia, introdotta dal governo Berlusconi nel marzo del 2011 - non doveva riguardare la prima casa e sarebbe entrata in vigore solo dal 2014 - poi anticipata dall’ex premier Mario Monti.

L’esenzione totale sulla prima casa costerebbe alle casse dello Stato quattro miliardi di euro, senza contare che per scongiurare l’aumento di un punto percentuale dell’Iva almeno fino alla fine dell’anno serve un altro miliardo. La partita è delicata: per il centrodestra l’abolizione della tassa è la condizione fondamentale per la sopravvivenza dell’esecutivo guidato da Enrico Letta.

Ma che ne pensano gli italiani? Secondo i dati elaborati dal Ceis di Tor Vergata, dei più di 1000 lettori che tra luglio e agosto hanno risposto al questionario della Stampa, il 60% ritiene necessario un intervento del governo, mentre il 40% preferirebbe pagare la tassa sulla prima casa e destinare ad altro il gettito Imu. Tra chi chiede di ridurre l’imposta, appena il 12,8% sogna un’abolizione totale: un dato ancor più sorprendente se si considera che circa l’80% degli intervistati è proprietario di una o più case.

La stragrande maggioranza desidera una riduzione, ma limitata: potendo disporre dei quattro miliardi della manovra, il 90% preferirebbe destinare meno di due miliardi alla diminuzione del prelievo. Tra questi il 23% vorrebbe abbassare l’imposta solo per chi ha una casa di scarso valore, considerando anche il numero degli abitanti, il 20% vorrebbe che gli sgravi si calcolassero sul reddito Irpef, il 17% in base all’Isee. Se il 14% è favorevole a esentare dal pagamento solo chi è più in difficoltà, un altro 10% vorrebbe invece ridurre l’imposta dello stesso importo per tutti, senza tener conto di reddito e valore catastale.

Chi si dice favorevole a un intervento sull’Imu sono per lo più lavoratori dipendenti e pensionati, con un reddito familiare netto tra i 20mila e i 40mila euro l’anno, con un minore livello di istruzione e peggio informati sui reali importi della tassa. Ma se per un giorno i lettori potessero vestire i panni del ministro del Tesoro, a che cosa destinerebbero i 2 miliardi di euro raccolti con l’Imu? Come ormai da mesi ripetono senza sosta - e pare anche senza ottenere granché - commercianti, artigiani, liberi professionisti e piccoli imprenditori, al primo posto, con oltre il 50% delle risposte, c’è la riduzione delle pressione fiscale sui redditi di famiglie e imprese. Il 16,7% degli intervistati ha scelto di destinare il tesoretto immaginario all’istruzione, seguita da sanità (7%), riduzione del debito pubblico (9%), assistenza sociale (3,5%) e un programma di aiuti per le famiglie in affitto (2,3%).

Protagonista indiscussa della politica, l’Imu non sembra quindi una priorità. «Un altro dato interessante riguarda l’informazione economica: oltre il 70% di chi ha optato per un intervento del governo, ha un’idea errata e sovrastimata dell’Imu media pagata dagli italiani, in particolare tra chi vorrebbe eliminarla del tutto - commenta Vincenzo Atella, direttore del Ceis di Tor Vergata -. Quella che il nostro laboratorio di lettori della Stampa ci sottopone è un’agenda economica molto diversa da quella della politica. La scelta di abolire l’Imu è sostenuta da una frazione molto piccola, le risorse si vorrebbero concentrare altrove. E se anche gli italiani nel complesso la pensassero così? Non sarebbe interessante saperlo?».

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